Se bastasse una canzone (trap)...
Abbiamo trovato finalmente il motivo del degrado giovanile?
Questa settimana, una mamma ha commentato un mio reel su Instagram, esprimendo tutta la sua preoccupazione per la violenza nei testi delle canzoni che i suoi figli ascoltano. Si è chiesta quale senso abbia invitare le famiglie a lavorare su sé stesse, quando le canzoni trasmesse in radio sembrano la quintessenza dell'odio e del degrado morale. Ma davvero basta una canzone per rendere migliori o peggiori i nostri ragazzi?
Eros Ramazzotti già nel 1990 si chiedeva:
… Se bastasse una bella canzone a far piovere amore
Si potrebbe cantarla un milione, un milione di volte
Bastasse già, bastasse già
Non ci vorrebbe poi tanto a imparare ad amare di più… Se bastasse una vera canzone per convincere gli altri
Si potrebbe cantarla più forte, visto che sono in tanti
Fosse così, fosse così
Non si dovrebbe lottare per farsi sentire di più… Se bastasse una buona canzone a far dare una mano
Si potrebbe trovarla nel cuore, senza andare lontano
Bastasse già, bastasse già
Non ci sarebbe bisogno di chiedere la carità… Se bastasse una grande canzone per parlare di pace
Si potrebbe chiamarla per nome aggiungendo una voce
E un'altra poi e un'altra poi
Finché diventa di un solo colore più vivo che mai
Ma basta davvero una canzone?
La mia risposta, vista la situazione odierna, è che no, non basta. Allora perché credere che una canzone trap possa trasformare i nostri figli in criminali?
Intendiamoci, quando mi capita di sentire qualche testo (non tutti) tipo "quella puttxxxna della professoressa", "vendo morte", "mi scopo la mia putxxx" inorridisco anch’io. Ma non penso che ascoltare gli 883 basti a fare di qualcuno un adulto sereno ed equilibrato (noi lo siamo?)
Il punto è un altro: noi possiamo scegliere di circondare i nostri figli di bellezza, di autenticità e di consapevolezza, indipendentemente da quello che ascoltano.
Leggendo questo commento, che ho accolto con tenerezza perchè mi è arrivata tutta la preoccupazione di questa mamma nel realizzare quanto in preadolescenza noi genitori perdiamo il controllo sulla vita dei nostri figli, mi è venuta allora una curiosità:
Da quanto tempo, i ragazzi si sentono dire dai grandi "Ma cosa stai ascoltando?"
Forse è una storia che si ripete.
Ogni generazione ha avuto una musica incompresa, una "colonna sonora della ribellione" che i genitori faticavano a comprendere.
E se provassimo a guardare queste canzoni da un'altra prospettiva?
Così mi sono presa la briga di fare una ricerca per vedere se le canzoni del passato veicolassero davvero valori migliori di quelle che ascoltano i nostri figli e se i “vecchi” de ogni epoca si atteggiassero diversamente rispetto ai gusti musicali dei propri figli.
Un viaggio musicale tra generazioni
La mia ricerca parte dagli anni '50 e '60. Anni in cui arrivano temi “scandalosi” per il momento storico: sesso, libertà e sperimentazione. Artisti come Patty Pravo, Vasco, sfidavano le convenzioni, esplorando un mondo di emozioni libere. I loro testi erano come un'esplosione di colore in una società ancora in bianco e nero, portando i giovani a chiedere più libertà e meno regole.
E che valori promuovevano? Ecco alcuni esempi che ho trovato:
“Diamond’s girl best friends” - Marilyn Monroe (1953)
Qui l'amore è visto come meno importante rispetto alla sicurezza economica. La protagonista crede che i diamanti, più delle relazioni, possano garantire stabilità e sicurezza, e si adatta a un ruolo di dipendenza economica, cercando stabilità attraverso beni materiali invece che legami affettivi.
"Malafemmena" - Totò (1951)
Torniamo in Italia. Questo brano, scritto dal grande comico Totò, parla di una donna vista come una "malafemmena", ossia una donna crudele e ambigua. Malafemmena riflette una mentalità maschile tradizionale, in cui la sofferenza amorosa viene in qualche modo attribuita alla donna, vista come la causa del dolore dell'uomo. Il brano sottolinea un immaginario in cui la donna viene giudicata intrinsecamente “cattiva”.
Negli anni '50, in Italia, i genitori e i nonni molto probabilmente giudicavano osceni, irrispettosi e sfacciati tutti questi nuovi artisti che sfidavano lo status quo della loro generazione. Anche se i limiti della “decenza” erano molto ristretti in quest’epoca, e anche solo mostrare una vena di sensualità, ironia o espressione esuberante poteva essere considerato provocatorio, artisti come Fred Buscaglione, Renato Carosone, Nilla Pizzi e Carla Boni, furono interpreti che si spinsero più in là e furono duramente osteggiati dalla generazione precedente.
Facciamo un salto agli anni '60. Molte canzoni trasmettevano “disvalori” quali la promiscuità amorosa, l’uso della droga, e alcune inneggiavano addirtittura al suicidio.
"Paint It Black" - The Rolling Stones (1966): affronta temi cupi come dolore e disperazione, alludendo alla depressione, un argomento delicato.
"The End" - The Doors (1967): i testi sensuali e l'allusione alla libertà sessuale lo resero controverso.
"Lucy in the Sky with Diamonds" - The Beatles (1967): spesso interpretata come un inno all'uso di droghe psichedeliche, un simbolo di trasgressione.
"Sympathy for the Devil" - The Rolling Stones (1968): esplora il maschio nel mondo, sfidando le convenzioni religiose.
Molti "vecchi" dell'epoca criticavano i nuovi artisti, come i Beatles e Bob Dylan, per l'immoralità e la “devianza” percepita nei messaggi e nello stile di vita. Rock e beat venivano visti come simboli di ribellione, promiscuità, uso di sostanze e minaccia alla moralità tradizionale.
D’altro canto, per gli adolescenti degli anni ‘60 questi artisti erano portatori di messaggi nuovi, come la pace, l'amore libero, l'autenticità individuale e l'opposizione alla guerra. La loro musica proponeva libertà espressiva, critica al conformismo e apertura mentale, valori che sfidavano le norme rigide della società.
Negli anni '70, molte canzoni italiane sfidarono i valori tradizionali, suscitando critiche e preoccupazioni per i loro messaggi considerati "ribelli" o "devianti". Eccone alcune:
"Kobra" - Donatella Rettore (1980): una canzone allusiva e ironica che utilizza doppi sensi per parlare di desiderio e attrazione, un tema audace per il periodo.
"Je so' pazzo" - Pino Daniele (1979): celebra l'anticonformismo e la voglia di vivere senza regole.
"Vaffanculo" - Edoardo Bennato (1977): critica il sistema e i falsi moralismi, un messaggio ribelle per l'epoca.
Negli anni '70, molti genitori faticavano ad accogliere la musica dei figli perché rappresentava una ribellione aperta alle norme sociali. Generi come il rock psichedelico e il punk, con artisti come Led Zeppelin e i Sex Pistols, erano associati a eccessi, sessualità esplicita e sperimentazione con droghe; elementi visti come destabilizzanti per l'ordine familiare e sociale.
Per i ragazzi invece la musica incarnava valori di libertà individuale, sfida al consumismo e rifiuto dell'autorità, rispecchiando un'epoca segnata da movimenti pacifisti, contestazioni studentesche e una nuova consapevolezza sociale.
Avviciniamoci ora on la macchina del tempo e fermiamoci per un attimo agli anni '80. Gli artisti usavano l'ironia e il linguaggio allusivo per trattare temi complessi, suscitando critiche e giudizi.
"Mi vendo" (1980) Renato Zero. Con l'uso di doppi sensi e provocazioni, Renato alludeva con ironia alla mercificazione dell'artista e alla libertà sessuale, affrontando anche il tema dell'identità con un linguaggio ambiguo.
"Il triangolo" (1978),Renato Zero continuò a suscitare scalpore negli anni '80 per le allusioni a relazioni amorose non convenzionali.
Negli anni '80, molti genitori erano preoccupati perché la musica dei figli sembrava celebrare eccessi e perversione. Artisti come Madonna e Prince apparivano provocatori per il loro stile e per i messaggi di libertà sessuale e ostentazione. I genitori vedevano in questi artisti un simbolo di “superficialità” e di perdita di valori tradizionali.
Ma per gli adolecenti, questa musica esprimeva voglia di autenticità, creatività e libertà. Rifletteva i sogni di un'epoca che, pur tra ansie globali come la paura nucleare, celebrava la tolleranza e la voglia di accettarsi.
Negli anni '90, molti genitori vedevano la musica dei figli, tipo il grunge, rap e hip-hop, come una vera e propria minaccia per i valori e l'educazione. Artisti come i Nirvana e The Smiths parlavano apertamente di rabbia, disillusione, e difficoltà sociali, esprimendo sentimenti di isolamento e rifiuto delle regole.
Per i giovani, però, questa musica rappresentava una voce autentica che dava forma alle loro esperienze e a un bisogno di esprimere emozioni profonde e vere. Era un modo per affrontare i cambiamenti della società e il desiderio di trovare una propria identità.
Infine negli anni 2000, i genitori si preoccupavano per il crescente successo di generi come rap, hip-hop e pop provocatorio, con artisti come Eminem, Britney Spears e Linkin Park. Temi di ribellione, ansia e lotta interiore spesso venivano interpretati come negativi o destabilizzanti.
I giovani invece sentivano un bisogno crescente di autenticità, di essere compresi e di trovare una propria identità in un mondo segnato dalla tecnologia e dalla globalizzazione. La musica diventava per loro uno spazio dove poter esprimere la complessità delle loro emozioni, come l'ansia, il senso di inadeguatezza e la pressione sociale.
Il rap e il pop, spesso criticati per il linguaggio esplicito e i temi ribelli, rispondevano al bisogno di riconoscere e affrontare le proprie difficoltà, dando ai ragazzi un senso di appartenenza e di connessione.
Oggi, molti genitori guardano alla musica trap con preoccupazione. Testi espliciti, toni ribelli e una rappresentazione a volte “cruda” della vita sembrano trasmettere disvalori o messaggi di rabbia e nichilismo.
Per i ragazzi, però, la trap rappresenta un mezzo per raccontare la realtà che vivono: difficoltà, mancanza di punti di riferimento e un desiderio di riscatto in un mondo percepito come ostile o indifferente. È un genere che, pur con toni duri, dà voce alla frustrazione e alla ricerca di identità di questa generazione.
Sembra evidente quindi che la musica sia sempre stata vista e interpretata come una minaccia e una rottura dello status quo dalle generazioni precedenti, perchè forse la musica più che mai è figlia del suo tempo e non può essere pienamente compresa da chi non appartiene a quel paradigma.
Quindi… cosa possiamo fare?
La musica dei nostri figli racconta la loro realtà. Piuttosto che combattere la musica, possiamo controbilanciare questi messaggi con il nostro esempio e la nostra consapevolezza.
Non basta una canzone per “fare piovere amore”. Allora, se vogliamo essere guida, dobbiamo iniziare da noi. Come ci relazioniamo agli altri? con che parole esprimiamo le nostre idee?
Possiamo contribuire più di quanto immaginiamo se ci impegniamo a vivere i valori che desideriamo vedere.
Ma allora dobbiamo rassegnarci ad ascoltare questa musica, figlia del suo tempo?
No, non credo. Quello che io mi impegno a fare è di bilanciare la violenza che incontro nel mondo con le mie azioni, parole e pensieri.
Se vogliamo davvero fare la nostra parte, allora dobbiamo iniziare a portare consapevolezza nel modo in cui ci esprimiamo, relazioniamo e pensiamo.
La vera sfida non è cambiare gli altri, ma cambiare noi stessi e vivere nella fiducia.
L’unica cosa certa è che i nostri figli diventeranno ciò che diventeranno, non per la musica che ascoltano, ma per quello che vivono.
E tu, quali parole scegli oggi di pronunciare?
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Con affetto,
Giada
La tua Life & Family Coach
Oltre ad ascoltare musica, potremmo proporre loro di scrivere un proprio testo. Butterebbero fuori i loro tormenti, e non ascolterebbero o si assimilerebbero solo a quelli altrui, alimentando un processo creativo che può sempre venire utile.
Mi sembra un ottima idea!